La strada per l'Ovest
Australia
La strada che collega in linea quasi retta Ceduna e Norseman si chiama Nullarbor Plain, si trova nell’Australia meridionale ed è lunga 1.256 chilometri.
“Nullarbor”, cioè nessun albero, viene dal latino e promette un sonoro vuoto di foglie e di ombra; “Plain”, dal canto suo, fa venire in mente calura baluginante e orizzonte piatto. L’unione di Nullarbor con Plain è di quelle che portano a domandarsi: “che accidenti ci faccio qui?”
Sono in viaggio da mesi nel Paese dei koala con un furgone di terza mano che sbuffa nuvole grigie dal tubo di scappamento. Dopo varie migliaia di chilometri sono arrivata a Port Augusta, nello Stato del Southern Australia. Da qui devo andare nel Western: studio la mappa e scopro che la strada che va da Est a Ovest ha un nome latino e poetico e uno inglese e ufficiale (cioè Eyre Higway). Scopro anche che è lunga come la schiena di duemila e passa balene e che il “nulla” inizia in realtà appena fuori da Port Augusta. Da qui fino a Ceduna sono 200 chilometri e questo fa salire il totale a 1.700; siccome anche la tratta Norseman-Esperance si rivelerà liscia come la buccia di una mela, si arriva a 1.900 chilometri e spiccioli.
1.900 chilometri: come dire Milano-Oslo ma senza che in mezzo ci siano Zurigo, Francoforte, Amburgo, Copenaghen e Göteborg. Solo vento, corvi e polvere bianca.
Ci metto tre giorni, a fare la Milano-Oslo dell’emisfero Sud.
A destra e a sinistra di questa strada si incontrano le Road House, delle aree di sosta e un numero più denso di quanto avrei pensato di gente in movimento.
Le Road House hanno nomi e cartelli come se fossero paesi: Yaluna, Coorobie, Madura, Cocklebiddy. Posti dove fare benzina, bere un caffè, mangiare hamburger e patatine.
Alla Road House di Coorobie prendo un caffè e un ciccione mi domanda se vado a Est o a Ovest: questa strada corre come una linea di latitudine, si guida sparati per due fusi orari senza che compaia mai l’ipotesi di una deviazione. O ci si ferma o si va dritti.
“Ovest”, gli dico.
Scarabocchia qualcosa su di un foglietto e me lo passa.
“Non perderti Coral Bay”, fa, “da Perth in 12 ore ci sei.”
Come sarebbe, 12 ore? Ero convinta che a Perth le ore di guida sarebbero finite. Dovevo dare retta a chi mi diceva: “Sicura di voler andare laggiù? Non hai idea, l’Ovest è infinito.”
Le aree di sosta fanno quello che possono, insomma siamo nel Nullarbor, uno non può mica aspettarsi sushi e vasca idromassaggio.
Alcune sono appena slarghi della strada; altre sono messe un tantino meglio, capita che abbiano un paio di panchine (di solito sporche di merda di corvo) e un cestino della spazzatura con sopra una grata per evitare che topi, dingo e aquile le scoperchino e facciano un disastro. Altre ancora si perdono tra sabbia e arbusti: indicazioni non ce ne sono, si va dove si vuole, ci si ficca tra un paio di piantuzze, ci si accampa e si pensa alla cena: cosa offre la cambusa? Tonno in scatola e pane a cassetta. Vabbè.
Quanto alle comodità, lasciamo perdere. Nei primi 1.200 chilometri incrocio appena due aree sosta con i bagni, cioè casotti con un water e il buco sotto: mai una doccia, un riparo per il vento, una luce. Tanto gli australiani sono bravissimi a essere autosufficienti. E chi australiano non è impara alla svelta.
Quando la giornata inizia a svanire, quando il sole e la luna stanno ai due lati dell’orizzonte, alla stessa altezza, grandi uguali, è tempo di pensare a dove passare la notte.
Nel Nullarbor le notti sono limpide come se fossero state passate con lo spray e le stelle paiono piovere addosso, sulla testa, tra le dita delle mani.