Il re del silenzio

I pini loricati del Parco Nazionale del Pollino (Basilicata e Calabria)

Il pino loricato è un fossile vivente, coevo dei dinosauri, a cui somiglia per la corteccia a scaglie. È un albero dai tempi lentissimi, come obbedisse a cicli non più nostri (… ); si è rifugiato in luoghi impervi e ventosi, tra burrasche, gelo e petraie. Quando muore, perde la corteccia e appare bianco come marmo. Ma resta in piedi, re del silenzio, nobile monumento a se stesso.”
(Pino Aprile)

Basilicata, Italia meridionale.
Una regione di monti che racchiude, con le sue forme e i suoi ritmi di vita, uno spazio e un tempo infiniti. Boschi e rocce, sfumature di verde e di grigio. Una regione bagnata dal due mari, una striscia a est e una a ovest. Turchino e celeste, Jonio e Tirreno. Parte dello stesso Mediterraneo che ha visto succedersi naviganti e agricoltori, guerrieri e filosofi. Esplorato e solcato sin dall’antichità: greci, fenici, romani, arabi, longobardi, saraceni, bizantini, normanni, spagnoli, il Mediterraneo da millenni è luogo di incontro, di stratificazione, di scontro e di scambio. È un mare di storia.
I pini loricati sono figli  di questo mare.
Ne raccontano le trame, ne testimoniano la cultura. Alberi che amano il vento e le vette, quando le nuvole gli si impigliano tra i nodi creano filamenti e parentesi. Da alcuni rami paiono staccarsi sorprese di virgole, altri sono punti di domanda. Ce n’è che hanno ciuffi di verde in testa, paiono ricci pasticciati da un bambino.
Argentati, contorti, antichi. Tormentati, con le radici piantate in costoni impervi che chissà da dove prendono il nutrimento. Hanno cortecce che brillano al sole o si mescolano con la nebbia. Le cime sono spesso appiattite, come se avessero tenuto per troppo tempo un cappello sulla tesa. Ce n’è che superano i quattro metri di altezza e che sfiorano i 1000 anni di vita. Originari dell’Est e dei Balcani culla di violini zigani, i loricati migrarono nel Sud d’Italia al tempo dell’ultima glaciazione. Migrarono, sì: perché non solo gli uomini si spostano. O le rondini e i lupi. Circa 100.000 anni fa l’abbassamento del livello dei mari e il loro conseguente restringimento fece sì che in alcuni punti si potesse andare a piedi da una sponda all’altra del mar Adriatico. C’era terra dal promontorio del Gargano fino al Montenegro. Furono il vento e gli uccelli a fare da ambasciatori e a traportare i semi nel Sud Italia. Oggi si trovano solo in Basilicata e nei Balcani. Vivono in una terra di montagne aspre, strade sbeccate e, sullo sfondo, un mare pazzesco, nel Parco nazionale meno conosciuto e più grande d’Italia. Una terra in cui i boschi profumano di salmastro, popolata di ribelli e di emigranti. Luogo che tanto era piaciuto al dio greco Apollo che, come ricorda una poesia, amava sostare con il suo carro del sole sul “Mons Apollineum”, il massiccio montuoso che dà il nome all’area: Parco Nazionale del Pollino. Simbolo del parco è proprio un pino loricato.Oggi in Italia restano 2.000 esemplari di questo albero raro, a testimonianza della capacità dell’ambiente di adattarsi a fenomeni estremi.

Il nome “loricato” deriva dalla sua struttura rugosa. La corteccia si presenta come un manto a scaglie, che ricorda un’antica corazza romana chiamata, appunto, “lorica”.
Li si trova solitari sui versanti aridi ed esposti al sole dei rilievi calcarei tra i 1.000 e i 2.000 metri. Prevalentemente solitari, sì: tuttavia vi è un luogo dove stanno assieme a comporre un grande anfiteatro naturale. Si chiama “Giardino degli Dei”: perché ci fu un tempo, un tempo antico, in cui venivano a dimorarvi Zeus, Atena, Cupido e gli altri Dei dell’Olimpo. Lo scrive lo storico Tacito negli Annales: il luogo era di bellezza struggente e, secondo la leggenda, le divinità greche amavano andare a trascorrervi l’estate.
2.000 anni dopo le leggende degli antichi, quassù ci sono alberi frondosi e tronchi che paiono attori; altri stanno sulla cresta, aggrappati alle rocce, grigie quelle e grigi loro. Capita che vadano in coppia: un albero verde, l’altro d’argento. Uno cresce e accompagna il suo compare secco, con il tronco ormai liscio e ancora in piedi. Perché la resinosità del legno fa sì che esso marcisca con estrema lentezza dopo la morte della pianta, e così vi sono esemplari non più in vita che restano eretti per anni, trasformati in monumenti arborei.
Mi fermo a fare merenda, appoggiandomi a quegli stessi tronchi che un tempo facevano da schienale alle giubbe stracciate dei ribelli, i briganti che alla fine dell’Ottocento scapparono tra queste rocce  e combatterono la loro selvatica guerra per il pane contro i proprietari terrieri e contro la Guardia Nazionale della neonata Italia. I loro discendenti, oggi, vengono a camminare muniti di panini al salame e non più di schioppi. Poi si fermano e parlano con chi è qui per la prima volta.
Parlano, cioè, con me. Mi presentano agli alberi. Li conoscono così bene da chiamarli per nome. Ci sono le “sentinelle”, due pini nella piana grande dopo il bosco che aprono le porte del Giardino. C’è “zì Peppe”, un tronco caduto che ha due buchi a far da occhi e pare un fantasma buono. E c’è il “Patriarca”, con un tronco rugoso come una colata di lava. È uno degli alberi più antichi d’Europa.

NOTE PRATICHE

*** DOVE ***
Il “Giardino degli Dei” è nel Parco Nazionale del Pollino, in un’area selvaggia a cavallo tra Lucania e Calabria e oggi patrimonio dell’umanità Unesco. Qui si trovano le montagne più alte del Sud Italia, con vette che superano i 2.200 metri (Serra Dolcedorme, 2.267 metri; monte Pollino, 2.248 metri). È abitato da caprioli, lontre, volpi e lupi. Sulle sue vette volano le aquile reali. Dalle sue alture la vista spazia fino a due mari: lo Jonio da una parte e il Tirreno dall’altra.
Sul sito del Parco si trovano informazioni relative a come arrivare, dove comprare le carte escursionistiche e dove si trovano gli sportelli del turismo.
 *** COME ***
Si tratta di un territorio aspro e montuoso, con strade strette e tortuose: spostarsi richiede tempo ma regala panorami incantevoli. Numerosi sono i punti di accesso al parco, sia sul versante jonico sia su quello tirrenico. È consigliabile avere un’auto, sebbene sia possibile raggiungere i Paesi all’interno del Parco anche con i mezzi pubblici: occorre consultare gli orari e avere molta pazienza, perché i collegamenti sono lenti e non frequenti.
Per raggiungere la zona dei pini loricati si deve disporre di un mezzo proprio. Consiglio di arrivare in auto a Piano Ruggio (località Viggianello, Potenza, Basilicata), da cui si dipanano numerosi sentieri.
*** DORMIRE E MANGIARE ***
A Piano Ruggio c’è un rifugio dove è possibile mangiare e pernottare (Rifugio De Gasperi). Per chi preferisce un pranzo al sacco: nei mesi estivi arrivano quotidianamente venditori di prodotti alimentari tipici, salumi e formaggi. C’è una bella fontana in pietra con acqua fresca ottima per riempire le borracce.  Nel villaggio più vicino, Viggianello (PZ) ci sono strutture ricettive e ristoranti nonché botteghe alimentari. 

IL MIO CONSIGLIO

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Se non siete esperti della zona e se non partecipate a un’escursione guidata, non è semplice trovare l’orientamento: i sentieri, infatti, sono solo parzialmente segnati. Si tratta di un territorio frequentato perlopiù da lucani e calabresi: che siano amici o famiglie, tutti conoscono la loro terra in profondità. E sono estremamente fieri di condividerla: domandate e saranno felici di spiegarvi, non solo i sentieri ma anche le storie, le tradizioni, i luoghi meno noti e più scenografici. Potrebbe pure finire con uno scambio di fette di salame piccante e di formaggio stagionato: perché è una terra di grande ospitalità e di prodotti alimentari da leccarsi i baffi
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